venerdì 8 gennaio 2016

Volevo andare a vedere l’aurora boreale ...ma sono andata a correre sulla Tagliafuoco del Musinè


Pochi giorni fa guardavo il telegiornale, distrattamente. Poi l’ho vista. Bella, grandiosa ed ineffabile come solo lei sa essere: l’aurora boreale. Per pochi secondi – giusto il tempo di un servizio veloce, qualche fotogramma tra la solita sfilata di drammi moderni assortiti – lo schermo si è illuminato di mille sfumature di verde, rosa e azzurro, mostrando la notte del cielo polare nella sua veste più spettacolare.

La distrazione si è fatta attenzione, lo sguardo completamente rapito dai colori. In un attimo, l’immaginazione è corsa lì, in qualche punto indefinito vicino al Polo Nord. Poi un ricordo.

C’è stato un tempo in cui volevo andare a vedere l’aurora boreale. Immaginavo di partire da casa mia in un paesino in provincia di Torino con un camper ed attraversare l’Europa fino alle sue propaggini più estreme. Una volta giunta abbastanza a nord ed allontanatami a sufficienza da qualsiasi abitato, avrei parcheggiato, acceso un fuoco e poi, semplicemente, avrei aspettato l’aurora e me la sarei goduta.  Sarei, poi, ripartita immediatamente per tornare a casa, sazia della bellezza che, ero sicura, quello spettacolo mi avrebbe offerto. Dopo le scorpacciate, si sa, bisogna fare posto…

Avevo, sì e no, tredici anni. Passavo ore a fissare il cielo, di giorno per attribuire alle nuvole le forme più diverse, di sera per ammirare le stelle, nelle orecchie le cuffiette del walkman: erano gli anni in cui la musica non si ascoltava in formato iTunes ed il semplice lettore CD rom portatile sembrava avvenieristico. Non avrei scambiato il binocolo di mio padre e la bici che usavo per lunghissimi giri in campagna con nessun oggetto al mondo. Ogni sguardo portava con sé lo stupore di una prima volta. I concetti di limite e di difficoltà non mi appartenevano: mi sembrava che fosse sufficiente riempirsi gli occhi di bellezza e la testa del desiderio di qualcosa per far sì che accadesse. 
Non ricordo esattamente quando iniziai a sognare di andare a vedere l’aurora boreale. Credo sia iniziato tutto la prima volta che ne ho visto le immagini, su uno dei libri di scuola. Ciò che ricordo nitidamente, invece, sono le sensazioni da cui era nata l’idea di quel viaggio ben oltre i  confini del mio piccolo mondo di ragazzina di provincia: l’entusiasmo, la capacità di provare stupore, la tensione dell’animo verso il bello, la fiducia nella natura. Sempre su un libro, avevo letto che l’aurora boreale altro non è che il frutto dell’interazione di particelle elettricamente cariche che con una certa parte della nostra atmosfera terrestre a certe condizioni. Non era, però, ciò che mi importava. Anzi, mi sembrava che la domanda più interessante da farsi di fronte a quel fenomeno fosse: ma che posto straordinario è il mondo se i suoi meccanismi consentono uno spettacolo simile?

E’ passato qualche anno ed è arrivato il tempo degli impegni, delle scadenze, delle sfide a quei limiti che improvvisamente si scopre di avere. Non solo. E’ arrivato il tempo in cui i colori dell’aurora boreale sono stati ripresi sugli sfondi dei nostri telefonini, diventati scenografia del nostro quotidiano. Il tempo in cui la natura ci sembra ostile anche solo quando in città piove ed i bus sono in ritardo.

Forse, a vedere l’aurora boreale non ci andrò mai - quantomeno, non con un camper scassato ed in solitaria – ma sono contenta di essere riuscita ad intraprendere un altro viaggio: quello verso la riscoperta della natura e del piacere che ne deriva. Perché, sì, gli impegni ci sono, ma poi capita che un’oretta per correre la si trovi. E allora il limite dello sforzo che si riesce a sopportare inizia a venire meno, anche se si tratta di pochi minuti o metri per volta. E succede che quel sentiero su cui si corre, grazie ad un raggio di sole che non si ripeterà mai più uguale, svela angoli mai notati prima.

Si riscopre, in compagnia solo dei propri passi e del proprio respiro, di essere, ancora, capaci di stupirsi.  





domenica 3 gennaio 2016

Aria, acqua, terra e fuoco… Benvenuto 2016!


Quasi per caso abbiamo deciso di festeggiare il Capodanno 2016 in rifugio: niente preoccupazione per la scelta di abiti adeguati all’occasione, nessuna necessità di programmare il tempo al di fuori delle sempre interminabili ore trascorse a tavola, come in ogni festa che si rispetti, solo uno zaino sulle spalle con l’essenziale.

E poiché nella nostra Valle, la Valle di Susa, i sentieri da percorrere e i panorami da scoprire sono moltissimi, è bastato percorrere la statale per qualche paese fino a Beaulard e poi salire ancora in auto poche curve per arrivare a Chateau Beaulard. Ad accoglierci, abbiamo trovato un cartello in legno che ci invitava ad andare piano perchè lì i bambini giocano ancora per strada.

Abbiamo subito capito di essere nel posto giusto: pochi balzi e ci siamo trovati fuori dall’auto e sul sentiero per il rifugio “Guido Rey”. Aria, di quella vera, bella, pulita e piacevole intorno a noi: il respiro man mano più leggero e veloce, il profumo del bosco nelle narici, sopra le nostre teste rami di pini ed abeti ed il cielo ancora azzurro. Appena il tempo di sentire tendersi i muscoli ed i nervi delle gambe, ed ecco una radura. Ed il rifugio. Come sempre quando si arriva ad una meta, la sensazione è quella di aver raggiunto una terra nuova, ma diventata familiare perché la si è agognata durante il cammino. E così, con la terra sotto i piedi, ma sospesi per aria a 1791 m. s.l.m., ci siamo naturalmente girati ad ammirare lo spettacolo della bassa valle avvolta in una nebbia che noi avevamo la fortuna di esserci lasciati alle spalle.

Il tempo di una doccia, l’acqua che scorre sul corpo a lavare via l’ultimo briciolo di città e stress ed eccoci davvero pronti a festeggiare. Il vin brulè, i tavoli in legno, i commensali che prendono posto, tutti lì a condividere, senza esserci mai conosciuti prima, il rituale del passaggio ad un nuovo anno, ciascuno con le proprie speranze, i propri buoni propositi.

E di buoni propositi, a mezzanotte, intorno al fuoco ne ho fatti parecchi. Sarà che il fuoco è il mio elemento; o forse il ricordo di quando, da piccola, mi scaldavo davanti alla brace negli interminabili pomeriggi autunnali in cui la nonna, in campagna, faceva il pane per tutti; o forse, ancora, la sensazione che in fondo le reazioni che produce il fuoco sono quelle basilari della vita e senza di lui non si andrebbe avanti.  Non saprei spiegare il perché, so solo che le idee sono tante e tutte hanno al centro la voglia di essere sempre più libera nei movimenti della corsa e di trovare la forza che serve nella musica, che è ciò che finora non mi ha davvero mai abbandonata.

Passata la notte più lunga dell’anno, il risveglio non poteva essere migliore. Il cielo sereno, la montagna in uno splendore quasi estivo (senza neve, infatti, sembrava di essere alcuni mesi indietro, o avanti, a seconda dei punti di vista) e, soprattutto, una meta in mente: percorrere tutto l’anello del sentiero che collega il “Guido Rey”, San Giusto, Beaulard e Chateau Beaulard.

Ed ecco, di nuovo, uno splendido intrecciarsi di aria, in ogni respiro dal profumo di bosco, terra sotto ogni passo, acqua il più delle volte bellissima e pericolosa perché ghiacciata e, naturalmente il fuoco. Sì, perché la fatica scalda le guance e gli arti e in alcuni punti forse fa pensare di non farcela. Poi però quello stesso  fuoco ti spinge avanti e basta poco: un po’ di curiosità e l’aiuto preziosissimo di chi ti apre la pista, ti sostiene e ti strappa anche un sorriso.  Dimentichi la fatica, superi la roccia, ritrovi il sentiero, vai più in alto e lo scenario che si dischiude davanti ai tuoi occhi è ancora più  bello di quello che ti sei appena lasciato alle spalle.  Allora pensi che forse può essere così anche nella vita e ti fai l’augurio di avere sempre una nuova meta, le gambe e il cuore per superare la fatica e raggiungerla godendoti il panorama.

Tornando sull’automobile e poi scendendo verso la splendida Susa, a salutare le testimonianze della nostra Storia (quella con la “S” maiuscola, lasciate dai Romani e poi dagli uomini del Medioevo), ho pensato che quelle sensazioni provate nei boschi me le voglio portare dietro tutto l’anno. In fondo, aria, acqua, terra e fuoco sono anche dentro ognuno di noi…

Buon viaggio e ad maiora!

Caselette, 3/1/2016


Vero Ve