Capita a molti: il malanno di
stagione. O meglio, di fine stagione, quando le temperature sono ballerine ed
il corpo non capisce mai bene se reagire come si trovasse ai Poli o ai Tropici.
Presi dall’ansia di guarire presto per tornare quanto prima alle nostre occupazioni, ci rivolgiamo
al medico paese, così rassicurante e al tempo stesso così autorevole.
Le diagnosi – credo – si possono
riassumere così: una qualche patologia più o meno acuta delle vie aeree. Le
prognosi, anch’esse abbastanza prevedibili: da tre a cinque giorni di
anti-infiammatorio o, per quelli messi peggio, antibiotico o cortisonico.
Viene naturale fidarsi
incondizionatamente di ciò che il nostro medico ci dice. E certamente facciamo
bene: non si sostituisce una Laurea con qualche nozione improvvisata o col
nostro solo buon senso. Seguendo le sue
indicazioni, infatti, in pochi giorni torniamo alla nostra quotidianità.
Fino, ovviamente, al prossimo malanno.
Ed allora, per conoscere il seguito, basta tornare alla prima riga e rileggere.
Fino, ovviamente, al prossimo malanno.
Ed allora, per conoscere il seguito, basta tornare alla prima riga e rileggere.
Eppure – quelli che in fondo sono
un po’ ribelli mi capiranno – il dubbio che questa faccenda della malattia del
corpo che ciclicamente torna a tormentarci si possa vedere sotto un’altra prospettiva c’è. D’altra parte gli antichi Greci, che
la sapevano lunga, con il termine fàrmakon, passato praticamente invariato nell’italiano “farmaco”, indicavano sia il “rimedio, la cura”
che “la droga, il veleno”. Ed allora perché non provare a cercare una soluzione
a ciò che turba l’equilibrio del nostro corpo al di fuori della semplice assunzione
di un certo preparato chimico?
Iniziamo, dunque, la nostra
ricerca, usando internet, i libri (sì, quelli di carta, esistono ancora), le riviste ed il
confronto con l’esperienza di chi ha avuto la medesima curiosità prima di noi.
Scopriamo, tra il resto, che la medicina ayurvedica collega le patologie dell’apparato respiratorio alle disfunzioni di quello digerente. Succede, infatti, che quando pitta, il fuoco del nostro metabolismo, funziona poco, si accumula kapha, il radicamento a terra, il peso. Questo eccesso impedisce a vata, l’aria, di fluire liberamente. A questo punto, apprendiamo che possono essere preziosi alleati lo zenzero, la curcuma, il pepe nero * ed il movimento – d’altra parte si parla anche di corsa su questa pagina, no? - , alimenti ed azioni che riattivano il nostro fuoco interiore e liberano lo spazio perché l'aria possa circolare al meglio.
Scopriamo, tra il resto, che la medicina ayurvedica collega le patologie dell’apparato respiratorio alle disfunzioni di quello digerente. Succede, infatti, che quando pitta, il fuoco del nostro metabolismo, funziona poco, si accumula kapha, il radicamento a terra, il peso. Questo eccesso impedisce a vata, l’aria, di fluire liberamente. A questo punto, apprendiamo che possono essere preziosi alleati lo zenzero, la curcuma, il pepe nero * ed il movimento – d’altra parte si parla anche di corsa su questa pagina, no? - , alimenti ed azioni che riattivano il nostro fuoco interiore e liberano lo spazio perché l'aria possa circolare al meglio.
Ma non era proprio a questo punto
che il medico del nostro paese, di fronte al nostro malanno dei canali respiratori, ci aveva prescritto degli anti-infiammatori? Lo
dice il termine stesso, il loro compito è proprio contrastare un qualche “fuoco”.
O forse gli antibiotici? Essi, però, hanno l’effetto collaterale di uccidere i batteri della flora
del nostro intestino, il che vuol dire mettere in crisi la sede di lavoro di pitta. A qualcuno, infine, è stato
prescritto il cortisone? Credo che chiunque ne abbia mai assunto possa ben testimoniare
che il primo effetto che si avverte è proprio quell'aumento di peso che invece
si vorrebbe scongiurare per favorire il funzionamento delle vie aeree.
Ci troviamo di fronte ad un paradosso: i
rimedi che dovevano contrastarne i sintomi, in realtà alimentano e nutrono la
causa profonda del nostro malessere. Di nuovo, ci viene in aiuto l’origine
greca della definizione della nostra medicina, che si dice “allopatica”: la sua
essenza, infatti, consiste nel mettere in campo ciò che è altro (àllos) rispetto alla nostra sofferenza (pàthos).
Se ci sia soluzione a questo
paradosso, non so dire. Neppure so se una delle due strade verso la guarigione sia migliore o
comunque più efficace dell’altra. Personalmente, però, non resisto mai alla
curiosità di sperimentare come potrebbe essere non seguire la prima soluzione
che mi viene prospettata. E poiché il paradosso in cui mi sono imbattuta non è
solo un esercizio di logica, ma tocca le corde più profonde del modo che
ciascuno di noi ha di vedere il mondo, affido la riflessione conclusiva – che lascio
anche a voi - alle parole del grande Tiziano Terzani: “La storia di questo viaggio non è la riprova che non c’è medicina
contro certi malanni e che tutto quello che ho fatto per cercarla non è servito
a nulla. Al contrario: tutto, compreso il malanno stesso, è servito a
tantissimo. E’ così che sono stato spinto a rivedere le mie priorità, a
riflettere, a cambiare prospettiva e soprattutto a cambiare vita. E questo è ciò che posso consigliare ad altri: cambiare
vita per curarsi, cambiare vita per curare se stessi” (T. Terzani, “Un
altro giro di giostra”, Longanesi & Co., 2004.
Buon viaggio e ad maiora!
Caselette, 20/3/2016
Vero Ve
*riferimento tratto da: Bhagwan Dash, “Rimedi ayurvedici per malattie comuni. Manuale pratico per la cura e la prevenzione di numerose malattie e disturbi”, pag. 42, Edizioni Meditarranee, 1999
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